lunedì 14 febbraio 2011

S.Valentino

Poteva trattarsi semplicemente di noia, di una sconfinata prateria o di qualcosa di meglio.
Se esistevi non era per incontrarti, se scivolavi lungo le scoscese dell'indifferenza della città, non era per farti notare, per asservire il tuo narcisismo, ma per ingannare la tua solitudine interiore che non riuscivi più a celare dietro la pelle e le ossa della tua insistente magrezza nervosa.
Era S.Valentino, ma poteva trattarsi del giorno della fine e noi potevamo essere due vittime di Hiroshima, arse in un abbraccio radioattivo.
Era veramente l'insensata celebrazione dell'amore e, i milioni di cin-cin, che turbavano l'aria strisciata di polveri sottili e soffocanti, cerchiavano l'atmosfera di onde sonore assurde.
Samantha mi baciava e io m'impadronivo della sua anima attraverso il contatto falso delle nostre labbra.
Io avevo un eroe nel petto e lei se n'era accorta, io non sapevo combattere con lei ad armi pari, perché ero stato sconfitto e ignorato dal destino che guida gli amanti nel loro sogno di ossido di ferro, rosso, violento, affamato di abbandono, molto prima di una fisica separazione.
Era S.Valentino, festa di dessert al rum, di abbracci di scheletri in cerca di carne, di idiozie scambiate sottovoce  , non inventate, ma rubate alle squallide battute televisive ascoltate e incastrate nella memoria a lunga scadenza, senza possibilità alcuna di rigettarle.
C'era bisogno di un anello per suggellare la nostra infermità sentimentale?
Dovevamo per forza accoppiarci in un tenero affondare di stracci di seta?
Era normale imitare l'imitabile?
Chi ci spingeva a recitare la parte di due iene con le fauci sporche di sangue?
Era S.Valentino, tra le nostre mani, sulla tua schiena definita da ombre impercettibili, provenienti dai riflessi luminosi della città in preda alle sue droghe e alle sue sociopatie.
Era il 15 febbraio, la mattina e il suo cielo erano cobalto, i miei nervi una catena interminabile di termiti vibranti sotto i muscoli, ore consacrate all'addio che lasciai accanto alla tua bella figura distesa e ubriaca di sonno: un grosso coltello piantato nel materasso.

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